Mi sento come Novecento, il
meraviglioso pianista nato dalla penna di Alessandro Baricco, fermo sulla
scaletta che lo farà finalmente scendere dalla nave sulla quale è nato ed ha
vissuto per tutta la vita.
Lui è lì in silenzio, gli amici lo
aspettano, ma ad un certo punto fa retromarcia e torna sulla nave.
Anni dopo, seduto su una cassa di
dinamite, sempre sulla sua nave, confiderà all'amico corso a salvarlo cosa l'ha
spinto a rinunciare alla terra ferma:
"Tutta quella città... non si
riusciva a vederne la fine...
La fine, per cortesia, si potrebbe
vedere la fine?
Era tutto molto bello, su quella
scaletta... e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e
non avevo dubbi che sarei sceso, non c'era problema.
Non è quello che vidi che mi fermò, Max
È quello che non vidi.
Puoi capirlo? Quello che non vidi... In
tutta quella sterminata città c'era tutto tranne la fine.
C'era tutto.
Ma non c'era una fine. Quello che non
vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Tu pensa a un pianoforte. I tasti
iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può
fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la
musica che puoi fare è infinita.
Questo a me piace. In questo posso
vivere.
Ma se io salgo su quella scaletta, e
davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di
tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai...
Quella tastiera è infinita.
Ma se quella tastiera è infinita allora
su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino
sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche soltanto le strade, ce n'erano a
migliaia! Ma dimmelo, come fate voialtri laggiù a sceglierne una.
A scegliere una donna. Una casa, una
terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire.
Tutto quel mondo addosso che nemmeno
sai dove finisce, e quanto ce n'è.
Non avete mai paura, voi, di finire in
mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla...
Io ci sono nato su questa nave. E vedi,
anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di
desideri ce n'erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave,
tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era
infinita.
Io ho imparato a vivere in questo modo.
La Terra... è una nave troppo grande
per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo
troppo forte. È una musica che non so suonare.
Non scenderò dalla nave.
Al massimo, posso scendere dalla mia
vita. In fin dei conti, io non esisto nemmeno."
Io sono scesa dalla nave, seguendo
l'istinto ho imboccato strade...strade che mi davano fiducia, asfaltate,
sicure, piene di luce...tutta apparenza...
Da quei vicoli sono uscita distrutta...
A fatica sono risalita in nave e mi ci
sono chiusa dentro.
Che salpasse verso il mare aperto,
lontano lontano da ogni porto, dove le promesse hanno il valore del nulla
assoluto...
Colpa mia...
Adesso sono di nuovo in porto, be'
doveva succedere prima o poi, ma resto sulla scaletta...non scendo...sono
ancora piena di lividi e ferite...
Come Novecento fisso la terra, le
strade, la gente, i vicoli che mi hanno attirato e che ora hanno aspetto
diverso, forse per il semplice motivo che sono diversa io dentro...
Sono bui e vuoti.
Mi spaventano ma voglio osservarli.
Resto ferma, non scendo.
Non mi fido più nemmeno di me stessa e
del mio istinto...
Come si fa a scegliere?
Non lo so più...
Eppure di strade ce ne sono.
Infinite...
Belle, piene di fiori, di musica, si,
ma anche quelle che avevo imboccato erano così, poi le luci sono saltate, i
fiori sono appassiti, la musica si è interrotta.
Hanno promesso che presto avrebbero
aggiustato tutto, per ridarmi un po' di fiducia, ma non si vede nessuno...
In un porto solo promesse da
marinaio...
Io
osservo le vuote parole, le infinite strade, il caos eterno...Non fu quello che vidi, fu quello che non vidi...
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