martedì 17 luglio 2012

La canzone di Grisostomo




La disperata canzone dell’infelice pastore

« Poichè brami, o crudele, che vada di bocca in bocca e d’uno in altro paese l’eccesso del tuo acerbo rigore,
« Farò che lo stesso inferno comunichi al tristo mio petto un suon di dolore, che muti l’accento solito della mia voce.
« E pari al desiderio che ho di far conoscere il mio dolore e l’opere tue, sarà l’accento della mia voce spaventevole, alla quale per maggior tormento seguiteranno anche i brani delle mie viscere.
« Ascolta, pertanto, e presta attento orecchio al suono, non già armonioso, ma aspro, che dal fondo del tristo petto, mosso da cupo disinganno, si esala per mio giusto sollievo e a tua confusione.
« Così il ruggir del leone, lo spaventoso ululare del lupo, il fischio terribile dello squamoso serpente, l’orrendo grido di qualche mostro, il malauguroso gra chiare della cornacchia, il rombo del vento che agita il mare, l’implacabile muggito del toro atterrato, il gemito lamentevole della vedova tortorella, il sinistro canto del gufo, e i tristi suoni di tutta la negra falange infernale,
« Escano fuori con la mia anima dolente commisti fra loro in tal suono, che tutti i sentimenti ne rimangano confusi: poichè a far conoscere l’affanno che mi strazia, ho bisogno d’insoliti modi.
« A questi suoni così misti e confusi non faranno eco nè le dorate sabbie del Tago, nè gli uliveti del famoso Beti; bensì sulla cima delle, alte rocce e nei profondi burroni si affonderanno i miei lamenti, con morta lingua, ma con vive parole; « Ovvero, in oscure valli o per aride piagge prive di ogni umana traccia, e dove il sole non mostrò mai la sua luce, o fra la velenosa moltitudine di fiere che vivono nelle sterminate pianure. « E mentre pei selvaggi deserti l’eco ripeterà i miei affanni e il tuo rigore, che non ha pari nel mondo, per qualche mercede alla breve mia vita s’andran diffondendo su tutta quanta la terra.
« Il disprezzo uccide; il sospetto, o vero o falso, stanca ed abbatte la pazienza; la gelosia uccide crudelmente, una lunga assenza è una gran pena, e contro il timore dell’oblio non vale nessuna speranza di miglior destino.
« In tutto questo è certa e inevitabile morte; ma io (inaudito prodigio!), io vivo geloso, disprezzato, assente e certo di quei sospetti che mi uccidono, e nell’oblio si ravviva il mio fuoco
« E in mezzo a così gran numero di tormenti, non giunge il mio sguardo a vedere neppur l’ombra della speranza; nè io, disperato, me ne do alcun pensiero: anzi, per viver sempre nel mio dolore, giuro di tenermi sempre lontano da lei.
« Potrebbe mai l’uomo, sperare e temere nel tempo stesso? o sarebbe ragionevole sperare, quando le cagioni di temere sono più che mai certe?
« Quando la dura gelosia mi sta dinanzi, potrei io forse chiudere gli occhi, se la vedo attraverso a mille ferite aperte nell’anima mia? « Chi non aprirebbe le porte alla disperazione quando vede apertamente l’indifferenza altrui, e i sospetti (oh, amaro convincimento!) convertiti in fatti veri, e la limpida verità cambiata in menzogna?
« 0 gelosia, fiera tiranna del regno d’amore, armami il braccio di un ferro; dammi, o disprezzo, una corda.
Ma, oìmè! che con crudele vittoria la vostra rimembranza supera il mio patimento.
« Ora finalmente io muoio, e per non avere alcuna speranza di felicità nè in vita nè in morte, voglio persistere ne’ miei pensieri.
« Dirò che non s’inganna chiunque ben ama, e che è libera più delle altre quell’anima che è più schiava d’amore. o che la mia costante nemica ha l’anima bella al pari del corpo; che la sua indifferenza è colpa mia, e che Amore mantiene in pace il suo regno per mezzo dei mali a cui ci sottopone.
« E in questo pensiero, affrettando con un duro laccio il miserando passo a cui mi ha condotto la sua indifferenza, affiderò al vento il mio corpo e la mia anima, senz’alloro o palma di gloria avvenire.
« E tu, che con tanta crudeltà rendi a tutti palese la cagione che mi sforza a gettar in tal modo l’odiosa mia vita,
Poichè questa profonda piaga del mio cuore ti mostra apertamente com’io mi offro lieto a’ tuoi colpi;
« Se mai per caso tu mi giudichi degno che il chiaro cielo de’ tuoi begli occhi si turbi per la mia morte, non far che ciò accadata te ne prego: non cerco nessun compenso per queste spoglie dell’anima mia.
«Anzi, nel funesto momento il tuo riso faccia conoscere che tu ti rallegri della mia morte. Se non che è troppo ingenuo darti questo consiglio, poichè so che ti fai un vanto affrettare la fine della mia vita.
« Sorga, dunque,Tantalo dal profondo abisso colla sua sete, sorga Sisifo coll’immane peso del suo macigno, Tizio conduca il suo avvoltoio, nè Issione manchi colla sua ruota, nè le cinquanta sorelle intente alla loro perpetua fatica;
« E tutti insieme riversino il loro mortale supplizio nel mio petto, e con bassa voce (se è permesso a chi muor disperato) cantino triste esequie e dolorose a questo mio corpo, a cui sarà negato anche il mortorio.
« E il triforme custode dell’inferno, con mille altre chimere e mille mostri, facciano loro un doloroso accompagnamento; perchè non mi pare che altra pompa si addice più di questa a chi muore per amore.
« E tu, disperata canzone, non, prorompere in pianto abbandonando la mia lugubre compagnia; anzi, poichè la cagione che ti diè vita dalla mia sventura aumenta la sua felicità, fa di non esser trista nemmeno nella sepoltura».

Miguel de Cervantes - Don Chisciotte della Mancia

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